LETTURE :
Ez 37,12-14; Sal 129 Il Signore è bontà e misericordia; Rm 8, 8-11; Gv 11, 1-45: Io sono la risurrezione e la vita
Omelie sul Vangelo del giorno
dall’Eremo di San Biagio
“Gesù scoppiò in pianto”.
Come vivere questa Parola?
Quanto diversa da quella che ci siamo costruiti noi, l'immagine di questo Dio che piange dinanzi alle nostre tombe! No, Dio non è insensibile al dolore umano. Il vangelo ce lo mostra in lacrime non solo per la morte di Lazzaro, ma anche per la sorte che attende Gerusalemme, ne registra la commozione dinanzi allo smarrimento delle folle che lo seguono in cerca di una guida, e il premuroso affiancarsi a chi soffre per frenarne il pianto, come per la vedova che segue il feretro del figlio.
Ma c'è ancora un particolare molto eloquente: piange per l'amico. L'uomo non è per lui un estraneo: è l'amico! E se questi soffre, egli si fa vicino, prossimo, come il Samaritano che si china a curare le piaghe del malcapitato che scende da Gerusalemme a Gerico. Non passa incurante accanto a nessuno. Anche il mio pianto non lo lascia indifferente, il mio soffrire lo fa fremere di commozione.
Ma allora perché sembra non intervenire davanti al dilagare di tanta sofferenza? Come i Giudei ci verrebbe da dire: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». E invece ha indugiato ancora due giorni prima di recarsi presso Lazzaro e le sue sorelle.
Un po' di luce su questo inquietante modo di agire divino ci viene dal dialogo tra Gesù e i discepoli. Due modi profondamente diversi di guardare la morte: per i discepoli è la fine di tutto, per Gesù è un sonno da cui egli è venuto a ridestarci. Non la morte fisica, ma quella procurataci dal peccato è quanto dobbiamo temere. Nella prima si rivela la gloria di Dio che ne fa l'ingresso nella vita, da cui filtra la luce della resurrezione.
Oggi, nella mia pausa contemplativa, sosterò a riflettere su quell'attardarsi di Gesù "due giorni ancora" che talvolta mi trovo a sperimentare nel mio vissuto. Due giorni che accrescono la fede, rafforzano la fiducia, purificano l'amore.
Quando taci, Signore, quando mi fai attendere "due giorni ancora" prima di farmi sentire nuovamente la tua presenza e sperimentare il tuo intervento salvifico, donami la forza di ripetere come Marta: Sì, o Signore, io credo!
La voce di un martire dei nostri giorni
A volte il dolore è come un'opera di restauro: il Signore scrosta e toglie per purificare e sostituire. A volte "demolisce" per "fare una cosa nuova".
don Andrea Santoro
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di padre Raniero Cantalamessa
Dobbiamo risuscitare i morti nel cuore
Le storie del Vangelo non sono scritte solo per essere lette, ma anche per essere rivissute. La storia di Lazzaro è stata scritta per dirci questo: c'è una risurrezione del corpo e c'è una risurrezione del cuore; se la risurrezione del corpo avverrà "nell'ultimo giorno", quella del cuore avviene, o può avvenire, ogni giorno.
Questo è il significato della risurrezione di Lazzaro che la liturgia ha voluto evidenziare con la scelta della prima lettura di Ezechiele sulle ossa aride. Il profeta ha una visione: vede un'immensa distesa di ossa rinsecchite e capisce che esse rappresentano il morale del popolo che è a terra. La gente va dicendo: "La nostra speranza è svanita, noi siamo perduti". Ad essi è rivolta la promessa di Dio: "Ecco io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe...Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete". Anche in questo caso non si tratta della risurrezione finale dei corpi, ma della risurrezione attuale dei cuori alla speranza. Quei cadaveri, si dice, si rianimarono, si misero in piedi ed erano "un esercito grande, sterminato". Era il popolo d'Israele che tornava a sperare dopo l'esilio.
Da tutto questo deduciamo una cosa che conosciamo anche per esperienza: che si può essere morti, anche prima di...morire, mentre siamo ancora in questa vita. E non parlo solo della morte dell'anima a causa del peccato; parlo anche di quello stato di totale assenza di energia, di speranza, di voglia di lottare e di vivere che non si può chiamare con nome più indicato che questo: morte del cuore.
A tutti quelli che per le ragioni più diverse (matrimonio fallito, tradimento del coniuge, traviamento o malattia di un figlio, rovesci finanziari, crisi depressive, incapacità di uscire dall'alcolismo, dalla droga) si trovano in questa situazione, la storia di Lazzaro dovrebbe arrivare come il suono di campane il mattino di Pasqua.
Chi può darci questa risurrezione del cuore? Per certi mali, sappiamo bene che non c'è rimedio umano che tenga. Le parole di incoraggiamento lasciano il terreno che trovano. Anche in casa di Marta e Maria c'erano dei "giudei venuti per consolarle", ma la loro presenza non aveva cambiato nulla. Bisogna "mandare a chiamare Gesù", come fecero le sorelle di Lazzaro. Invocarlo come fanno le persone sepolte sotto una valanga o sotto le macerie di un terremoto che richiamano con i loro gemiti l'attenzione dei soccorritori.
Spesso le persone che si trovano in questa situazione non sono in grado di fare niente, neppure di pregare. Sono come Lazzaro nella tomba. Bisogna che altri facciano qualcosa per loro. Sulla bocca di Gesù troviamo una volta questo comando rivolto ai suoi discepoli: "Guarite gli infermi, risuscitate i morti" (Mt 10,8). Cosa intendeva dire Gesù: che dobbiamo risuscitare fisicamente dei morti? Se fosse così, nella storia si contano sulle dita i santi che hanno messo in pratica quel comando di Gesù. No, Gesù intendeva anche e soprattutto i morti nel cuore, i morti spirituali. Parlando del figliol prodigo, il padre dice: "Egli era morto ed è tornato in vita" (Lc 15, 32). E non si trattava certo di morte fisica, se era tornato a casa.
Quel comando: "Risuscitate i morti" è rivolto dunque a tutti i discepoli di Cristo. Anche a noi! Tra le opere di misericordia che abbiamo imparato da bambini, ce n'era che diceva: "seppellire i morti"; adesso sappiamo che c'è anche quella di "risuscitare i morti".