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lunedì 13 maggio 2013

PENTECOSTE




PENTECOSTE

CINQUANTA GIORNI DOPO LA SUA RESURREZIONE, 
GESU' EFFONDE LO SPIRITO SANTO SULLA CHIESA 
PER NON LASCIARCI SOLI 
FINO ALLA FINE DEL MONDO


Vieni, Santo Spirito,

manda a noi dal cielo un raggio della tua luce.

Vieni, padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori. 

Consolatore perfetto, ospite dolce dell'anima, dolcissimo sollievo. 

Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto. 


O luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli. 


Senza la tua forza, nulla è nell'uomo, nulla senza colpa. 

Lava ciò che è sórdido, bagna ciò che è árido, sana ciò che sánguina.

Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. 

Dona ai tuoi fedeli, che solo in te confidano i tuoi santi doni. 

Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna. 
















sabato 14 maggio 2011

Domenica 15 maggio - IV di Pasqua (A)


Domenica 15 Maggio > (Bianco)
IV DOMENICA DI PASQUA (ANNO A)
 
LETTURE: At 2,14.36-41   Sal 22   1Pt 2,20b-25   Gv 10,1-10: Io sono la porta delle pecore.

Omelia sul Vangelo 
di padre Mimmo Castiglione 

La differenza!

E noi si segue chi ci conosce, e lo si riconosce,
delizia dell'ascolto della voce. Gaudio!
Comunione. Relazione intima. Come nella tenda!
Dopo aver attraversato deserto, arsura,
quanto grande il bisogno di fermarsi,
il desiderio d'essere al sicuro,
con chi ha condiviso il percorso,
compagno nel cammino, facendosi strada?!
E riposare. Finalmente. Il cuore sazio.
Lacrime asciugate da chi s'è fatto Via, offrendo riparo.


Che cos'è importante? Nella risposta sta la differenza!
La differenza che c'è tra le persone, intendo!
La differenza che c'è tra il pastore ed il mercenario!
La differenza con cui si tratta la propria segullah (proprietà):
la propria vita e quanto ci appartiene, le relazioni ed il futuro!

È nella differenza delle risposte che si coglie il valore delle persone,
la loro dignità, l'onore, e si percepisce con chi si ha a che fare,
e si comprende ciò che fa grandi gli uomini e l'essenziale.

La differenza appare soprattutto quando arriva il lupo!
Ed allora c'è chi fugge e chi deplora, c'è chi affronta e chi evade,
c'è chi scappa e chi rimane! Già. Proprio così!
L'arrivo del lupo è l'ago della bilancia,
che stabilisce la differenza determinando consistenza!
È la vista del lupo che fa gridare Mors tua, vita mea!

Ma questo non accade al buon e bel Pastore,
che invece condivide facendo comunione.

Eh sì! È proprio vero. Gli stiamo a cuore.
Saggia guida il nostro Re,
il Giusto, il nostro bel Pastore!
Che muore per il gregge, per tutti quanti noi!
Depone la sua vita. Lui muore per i suoi.

Unica porta d'accesso dei giusti,
come quella del tempio e del vano inaccessibile,
col fregio d'una bella e grande vite,
con foglie e grappoli d'oro.

Uscio della coscienza all'ascolto della viva Voce!
Per questa porta dove il Maestro accede per il sacrificio,
come quella delle pecore a Gerusalemme,
il Discepolo amato entra ed esce.
La Roccia invece, interrogato dalla portinaia,
rinnegando si rifiuta, perdendo la sua vera identità.
Valle oscura dentro il suo cuore! Vi entrerà più tardi,
dopo essere stato interpellato per tre volte dal Risorto.

Per questa porta entra chi, intimo, nutre affetto e serve.
Rimane fuori invece chi, egoista, pensa solo a se stesso,
a costo di scannare altri, ed è brigante.

Solerte il buon Pastore, che anche adagio invita a proseguire,
donando tempo. Non furtivo. Non dilania. Ci s'innamora.
Sposi, alleati. Fedele, stabilisce il patto!

Lui stesso assume un portinaio, una guardia per custodire l'ovile,
per poi aprire il recinto e le pecore uscire,
raggruppandosi per voce, che affettuosa seduce, ammalia.
Ognuna col suo pastore. Importante è scegliere: Quale?!

Che bello sentirsi chiamare per nome,
da chi conosce la mia vita la mia storia. E conduce!
Che bello riconoscerne la voce!
E fiducioso uscire, andare fuori. Da sé. Vivere!
Nutrirsi d'esistenza in abbondanza.

Con un estraneo no! Tutto questo non avviene.
Si disconosce la sua voce, che grida morte.
Porta avanti propri interessi. Non gli importa benessere altrui.
No, non s'ascolta. S'abbandona la vecchia legge,
i falsi pastori, come fece il Cieco nato!

Cammina accanto al gregge il bel Pastore,
e pure innanzi proteggendo, parando i colpi. E si è al sicuro.
Soglia da attraversare per giungere ad un buon pascolo.
Cibarsi di Lui che è (Io sono) il vero agnello!
Conduce non violento e non al macello, non scanna.
Non come il ladro che per mestiere ruba e poi scompare!
Falso pastore chi crede di vedere.
Guida cieco! Manca di luce.


Il Vangelo del buon e bel Pastore ci colloca nel tempio,
durante la festa della Dedicazione,
che ne ricordava la restaurazione.
Gesù si aggira sotto il portico di Salomone.
Poco prima ha guarito un cieco,
proclamandosi luce del mondo.
Illuminazione!
Ora si dice pastore, per significare quanto gli stiamo a cuore.

Gesù non è un falso pastore, non è un ladro,
non è un estraneo alle pecore, non è un mercenario.
Al contrario, Gesù è padrone legittimo delle pecore,
a lui appartiene il gregge, perché lo conosce, l'accoglie e l'ama.
Le pecore ne riconoscono la voce, l'autorità,
non temono di essere abbandonate nel momento del pericolo,
non hanno paura di essere vendute o di ricevere del male.
Egli dona la sua vita, per questo lo seguono,
sanno che si possono fidare.
È agnello debole Gesù, mite e mansueto,
dirige il gregge, diventando pastore!
Nutrendo di sé non s'impone.
E lo si segue affascinati. Conquistati.
Stiamo riflettendo, è chiaro, ad un livello superiore,
stiamo parlando di persone.
Ma per comprendere tutto questo è necessario l'Alito di vita,
che rimesso al Padre sulla croce,
dal fianco lacerato si dona,
in una pentecoste senza fine.

Mi ascolto
E mi domando: Quante voci udite nella mia vita?
A quali di esse ho dato autorità?
E quali le conseguenze, i prezzi pagati, le tangenti versate?!
Promesse non mantenute, aspettative disattese, illusioni, delusioni.
Chi si prende veramente cura della mia esistenza? E gratuitamente?
A chi concedo fiducia? Chi si sacrifica per me?
Chi mi dedica tempo? Chi mi sorregge?
Chi rinuncia alla propria libertà per promuovere la mia vita?
Chi mi difende nel pericolo? Chi mi sopporta continuando a rimanere?


Mi ha sempre impressionato l'immagine della porta riferita a Gesù.
La possibilità cioè, di accedere dove talvolta è impossibile entrar da soli:
nei misteri della vita e nei segreti della realizzazione,
negli enigmi per il raggiungimento della pace
e nei meandri della comprensione degli eventi,
nell'intendimento intelligente delle ragioni e dello scopo d'ogni cosa.

Mi ha sempre affascinato la capacità che taluni hanno d'ascoltare,
di saper riconoscere parole apprezzabili e la voce di ciò che è importante.


sabato 7 maggio 2011

Domenica 8 maggio - III domenica di Pasqua (anno A)

Domenica 8 Maggio > (Bianco)
III DOMENICA DI PASQUA (ANNO A) 
LETTURE: At 2,14.22-33   
                    Sal 15   
                    1Pt 1,17-21   
                    Lc 24,13-35: Lo riconobbero nello spezzare il pane.


Commento al Vangelo 
di padre Ermes Ronchi
Cristo cammina con ogni uomo

Undici chilometri da Gerusalemme: Èm­maus è il simbolo del­la mia distanza dalla fede e dalla croce. Èmmaus è casa mia, quando sono tentato di tornare nel mio piccolo an­golo, via dalla comunione con gli altri, chiuso, ferito; fi­nito il sogno in cui tanto ave­vo sperato.
Due ore di cammino fatto in­sieme: e Cristo già si fa vicino, lo fa in ogni esperienza d'a­micizia. Due ore a parlare di lui, ed è il secondo segno del­la sua «ardente presenza» (Rilke).
Non è più qui... hanno detto gli angeli. Egli è per le strade del mondo, rallenta i suoi passi al ritmo dei nostri, den­tro la polvere delle nostre strade, quando sulla mia fe­de scende la sera. Ogni stra­da del mondo porta a Èm­maus.
Gesù si avvicinò e cammina­va con loro. Il Signore ci rag­giunge nella nostra vicenda quotidiana di viandanti. E cambia il cuore, gli occhi e il cammino di ciascuno. Il pri­mo miracolo è così dolce da non accorgersene subito, co­sì necessario da entrare sen­za imporsi: mentre lo scono­sciuto spiega le Scritture, il «cuore lento» inizia a riem­pirsi di un calore nuovo. Che cosa fa ardere il cuore? La sco­perta è racchiusa in una sola parola: la croce. La croce è la gloria. Non un incidente, ma la pienezza dell'amore. Paro­la che seminata nel cuore, lo cambia. E cambia la com­prensione dell'intera vita.
Resta con noi, perché si fa se­ra. Egli rimase con loro. Da al­lora Cristo entra sempre, se appena lo desidero. Il suo nome non è solo «io sono co­lui che è», ma diventa «io so­no colui che è con te».
La parola ha cambiato il cuo­re, il pane cambia gli occhi dei discepoli: lo riconobbero al­lo spezzare del pane. Il segno di riconoscimento di Gesù, il suo stile unico, è il suo corpo spezzato e dato, vita data per nutrire la vita. Il cuore del Vangelo è spezzare anch'io per mio fratello il mio pane, o il tempo, o un vaso di pro­fumo, e condividere con lui cammino, speranza e smar­rimenti.
La parola e il pane insieme cambiano il cammino di o­gni discepolo: partirono sen­za indugio e fecero ritorno a Gerusalemme. Partire verso i fratelli, partire come se la not­te non dovesse venire più, partire con il sole dentro. La fuga triste diventa corsa gioiosa: non c'è più notte, né stanchezza, né distanza, il cuore è acceso, gli occhi ve­dono. Non patiscono più la strada, la respirano, respiran­do Cristo, che è in cammino con ogni uomo in cammino.

venerdì 29 aprile 2011

Domenica 1° maggio 2011 - II Domenica di Pasqua (anno A)


II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia (ANNO A)
(Bianco)
Letture: At 2,42-47   
                   Sal 117 "Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre"  
                   1Pt 1,3-9
                   Gv 20,19-31: Otto giorni dopo venne Gesù.

Commento al Vangelo
di padre Ermes Ronchi

La Pasqua senza la croce è vuota

«Se non vedo, se non tocco, io non credo». Non cre­de Tommaso neppure a die­ci apostoli: «non viene da voi la prova di cui ho bisogno. Io voglio sentire Cristo che toc­ca Lui la mia vita, Cristo che entra, apre, solleva, e traccia strade. Non mi accontento di parole, ho bisogno di 'senti­re' Dio, di un Dio sensibile, u­dibile, visibile; non di un rac­conto, ma di un avvenimen­to. Ho bisogno che la sua vi­ta scuota la mia vita, e senti­re che è per me, che è mio». Ed ecco che Tommaso non ricerca segni gloriosi o trion­falistici, ma vuole toccare le ferite vive e aperte della pas­sione, rivedere il corpo dato, il sangue versato: lì è con­densata l'essenza della fede. Finché non partecipi, finché non sei coinvolto nell'im­menso gioco dell'amore e del dolore di Dio, non puoi dire: io credo, Signore!
«Metti qui il tuo dito, tendi la tua mano!». Gesù si fa vicino, voce che non giudica ma in­coraggia, e i segni dei chiodi sono a distanza di mano e di cuore: il risorto è il crocifisso. La Pasqua senza la croce è vuota. La croce senza la Pa­squa è cieca. Tommaso si arrende a un crocifisso amore che accon­discende alla sua fatica di credere e consegna ancora il suo corpo; si arrende a quel foro nel fianco e neppure si dice che lo abbia toccato. Si arrende all'amore che ha scritto il suo racconto sul cor­po di Gesù con l'alfabeto del­le ferite. Indelebile alfabeto, come l'amore. A ciascuno di noi Gesù ripete: «guarda, stendi la mano, tocca le pia­ghe, ritorna ai giorni della croce; guarda a fondo, fino alla vertigine, in quei fori; porta i tuoi dubbi al legno della croce, troveranno ri­sposta; non stancarti di a­scoltare la passione di Dio».
E Tommaso passa dall'incre­dulità all'estasi: «Mio Signo­re e mio Dio». Voglio custo­dire in me questo aggettivo, come una riserva di coraggio per la mia fede: «Mio». Pic­cola parola che cambia tutto, che non evoca il Dio dei libri o degli altri, ma il Dio intrec­ciato con la mia vita, mia lu­ce e mia ombra, assenza e poi più ardente presenza. Tom­maso come l'amata del Can­tico dei Cantici dice: «Il mio amato è per me e io sono per lui». Mio, non di possesso, ma di appartenenza. Mio, in cui mi riconosco perché da lui sono riconosciuto. Mio, per­ché esiste per me, mia luce e mio dolore. Mio come lo è il cuore e, senza, non sarei. Mio come lo è il respiro e, senza, non vivrei.

domenica 24 aprile 2011

Domenica 24 aprile 2011 - Pasqua di Risurrezione

PASQUA DI RISURREZIONE

Gv 20,1-9
Egli doveva risuscitare dai morti.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

venerdì 15 aprile 2011

Domenica 17 aprile - Domenica delle Palme


Domenica 17 Aprile > DOMENICA DELLE PALME (ANNO A)
(DOMENICA - Rosso)
Is 50,4-7   Sal 21   Fil 2,6-11   
Mt 26,14- 27,66: La passione del Signore.
 

Commento al Vangelodi Paolo Curtaz 
 
Il deserto, ormai, volge al termine. Abbiamo seguito il Rabbì nei quaranta giorni della quaresima, cercando di convertire il nostro cuore, sforzandoci di cambiare l'immagine mediamente orribile di Dio che portiamo nel cuore. Vorremmo un Messia muscoloso e trionfante. Gesù è un Messia mite e mediocre. Ci avviciniamo alla croce con superficialità: Gesù morirà in croce, Dio nudo e consegnato, per svelare in maniera inequivocabile il vero volto di Dio. Siamo pronti ormai, alla fine di questo percorso, a sederci e guardare lo scandaloso evento della croce, a seguire il Maestro nel suo dono d'amore. L'ultimo. Il più grande. La settimana che oggi iniziamo, così grande, così importante da essere chiamata "santa", è il gioiello dell'anno liturgico, una perla troppo spesso dimenticata da noi cristiani, a vantaggio di feste forse più sentimentali ma intrise di riletture consumistiche (vedi il Natale). Qui no. Un morto in croce non si vende, non suscita sentimenti di bontà. Si parla poco e male di questo Dio che sale sulla croce e muore. Rimane difficile da capire il mistero di una tomba vuota e del significato profondo della parola "resurrezione". Così è: la Chiesa si ferma stupita a meditare sulla misura dell'amore di Dio. Fermi, zitti, Dio si prepara a morire, Cristo celebra la sua presenza nell'ultima Pasqua, la nuova, viene arrestato, condannato, ucciso, sepolto, vive.

venerdì 8 aprile 2011

V DOMENICA di Quaresima 10 aprile 2011



LETTURE : 
Ez 37,12-14; Sal 129 Il Signore è bontà e misericordia; Rm 8, 8-11;
Gv 11, 1-45: Io sono la risurrezione e la vita

 


Omelie sul Vangelo del giorno


dall’Eremo di San Biagio 

“Gesù scoppiò in pianto”.

Come vivere questa Parola?
Quanto diversa da quella che ci siamo costruiti noi, l'immagine di questo Dio che piange dinanzi alle nostre tombe! No, Dio non è insensibile al dolore umano. Il vangelo ce lo mostra in lacrime non solo per la morte di Lazzaro, ma anche per la sorte che attende Gerusalemme, ne registra la commozione dinanzi allo smarrimento delle folle che lo seguono in cerca di una guida, e il premuroso affiancarsi a chi soffre per frenarne il pianto, come per la vedova che segue il feretro del figlio.

Ma c'è ancora un particolare molto eloquente: piange per l'amico. L'uomo non è per lui un estraneo: è l'amico! E se questi soffre, egli si fa vicino, prossimo, come il Samaritano che si china a curare le piaghe del malcapitato che scende da Gerusalemme a Gerico. Non passa incurante accanto a nessuno. Anche il mio pianto non lo lascia indifferente, il mio soffrire lo fa fremere di commozione.

Ma allora perché sembra non intervenire davanti al dilagare di tanta sofferenza? Come i Giudei ci verrebbe da dire: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». E invece ha indugiato ancora due giorni prima di recarsi presso Lazzaro e le sue sorelle.

Un po' di luce su questo inquietante modo di agire divino ci viene dal dialogo tra Gesù e i discepoli. Due modi profondamente diversi di guardare la morte: per i discepoli è la fine di tutto, per Gesù è un sonno da cui egli è venuto a ridestarci. Non la morte fisica, ma quella procurataci dal peccato è quanto dobbiamo temere. Nella prima si rivela la gloria di Dio che ne fa l'ingresso nella vita, da cui filtra la luce della resurrezione.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, sosterò a riflettere su quell'attardarsi di Gesù "due giorni ancora" che talvolta mi trovo a sperimentare nel mio vissuto. Due giorni che accrescono la fede, rafforzano la fiducia, purificano l'amore.


Quando taci, Signore, quando mi fai attendere "due giorni ancora" prima di farmi sentire nuovamente la tua presenza e sperimentare il tuo intervento salvifico, donami la forza di ripetere come Marta: Sì, o Signore, io credo!


La voce di un martire dei nostri giorni
A volte il dolore è come un'opera di restauro: il Signore scrosta e toglie per purificare e sostituire. A volte "demolisce" per "fare una cosa nuova".

don Andrea Santoro

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di padre Raniero Cantalamessa

Dobbiamo risuscitare i morti nel cuore
Le storie del Vangelo non sono scritte solo per essere lette, ma anche per essere rivissute. La storia di Lazzaro è stata scritta per dirci questo: c'è una risurrezione del corpo e c'è una risurrezione del cuore; se la risurrezione del corpo avverrà "nell'ultimo giorno", quella del cuore avviene, o può avvenire, ogni giorno.

Questo è il significato della risurrezione di Lazzaro che la liturgia ha voluto evidenziare con la scelta della prima lettura di Ezechiele sulle ossa aride. Il profeta ha una visione: vede un'immensa distesa di ossa rinsecchite e capisce che esse rappresentano il morale del popolo che è a terra. La gente va dicendo: "La nostra speranza è svanita, noi siamo perduti". Ad essi è rivolta la promessa di Dio: "Ecco io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe...Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete". Anche in questo caso non si tratta della risurrezione finale dei corpi, ma della risurrezione attuale dei cuori alla speranza. Quei cadaveri, si dice, si rianimarono, si misero in piedi ed erano "un esercito grande, sterminato". Era il popolo d'Israele che tornava a sperare dopo l'esilio.

Da tutto questo deduciamo una cosa che conosciamo anche per esperienza: che si può essere morti, anche prima di...morire, mentre siamo ancora in questa vita. E non parlo solo della morte dell'anima a causa del peccato; parlo anche di quello stato di totale assenza di energia, di speranza, di voglia di lottare e di vivere che non si può chiamare con nome più indicato che questo: morte del cuore.

A tutti quelli che per le ragioni più diverse (matrimonio fallito, tradimento del coniuge, traviamento o malattia di un figlio, rovesci finanziari, crisi depressive, incapacità di uscire dall'alcolismo, dalla droga) si trovano in questa situazione, la storia di Lazzaro dovrebbe arrivare come il suono di campane il mattino di Pasqua.

Chi può darci questa risurrezione del cuore? Per certi mali, sappiamo bene che non c'è rimedio umano che tenga. Le parole di incoraggiamento lasciano il terreno che trovano. Anche in casa di Marta e Maria c'erano dei "giudei venuti per consolarle", ma la loro presenza non aveva cambiato nulla. Bisogna "mandare a chiamare Gesù", come fecero le sorelle di Lazzaro. Invocarlo come fanno le persone sepolte sotto una valanga o sotto le macerie di un terremoto che richiamano con i loro gemiti l'attenzione dei soccorritori.
Spesso le persone che si trovano in questa situazione non sono in grado di fare niente, neppure di pregare. Sono come Lazzaro nella tomba. Bisogna che altri facciano qualcosa per loro. Sulla bocca di Gesù troviamo una volta questo comando rivolto ai suoi discepoli: "Guarite gli infermi, risuscitate i morti" (Mt 10,8). Cosa intendeva dire Gesù: che dobbiamo risuscitare fisicamente dei morti? Se fosse così, nella storia si contano sulle dita i santi che hanno messo in pratica quel comando di Gesù. No, Gesù intendeva anche e soprattutto i morti nel cuore, i morti spirituali. Parlando del figliol prodigo, il padre dice: "Egli era morto ed è tornato in vita" (Lc 15, 32). E non si trattava certo di morte fisica, se era tornato a casa.

Quel comando: "Risuscitate i morti" è rivolto dunque a tutti i discepoli di Cristo. Anche a noi! Tra le opere di misericordia che abbiamo imparato da bambini, ce n'era che diceva: "seppellire i morti"; adesso sappiamo che c'è anche quella di "risuscitare i morti".