Mt 26,14- 27,66: La passione del Signore.
Commento al Vangelodi Paolo Curtaz
Il deserto, ormai, volge al termine. Abbiamo seguito il Rabbì nei quaranta giorni della quaresima, cercando di convertire il nostro cuore, sforzandoci di cambiare l'immagine mediamente orribile di Dio che portiamo nel cuore. Vorremmo un Messia muscoloso e trionfante. Gesù è un Messia mite e mediocre. Ci avviciniamo alla croce con superficialità: Gesù morirà in croce, Dio nudo e consegnato, per svelare in maniera inequivocabile il vero volto di Dio. Siamo pronti ormai, alla fine di questo percorso, a sederci e guardare lo scandaloso evento della croce, a seguire il Maestro nel suo dono d'amore. L'ultimo. Il più grande. La settimana che oggi iniziamo, così grande, così importante da essere chiamata "santa", è il gioiello dell'anno liturgico, una perla troppo spesso dimenticata da noi cristiani, a vantaggio di feste forse più sentimentali ma intrise di riletture consumistiche (vedi il Natale). Qui no. Un morto in croce non si vende, non suscita sentimenti di bontà. Si parla poco e male di questo Dio che sale sulla croce e muore. Rimane difficile da capire il mistero di una tomba vuota e del significato profondo della parola "resurrezione". Così è: la Chiesa si ferma stupita a meditare sulla misura dell'amore di Dio. Fermi, zitti, Dio si prepara a morire, Cristo celebra la sua presenza nell'ultima Pasqua, la nuova, viene arrestato, condannato, ucciso, sepolto, vive.
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