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mercoledì 24 novembre 2010

domenica 21 novembre 2010 CRISTO RE



Omelia di don Luca Orlando Russo

«Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno»

È doveroso chiedersi come mai la liturgia per la solennità di Cristo, re dell'universo ci presenti un brano tratto dalla passione. Durante un'esperienza di umiliazione come quella che ha vissuto Gesù è davvero difficile scorgere la regalità di Gesù.
Altrettanto difficile era immaginare che a riconoscere la sua regalità fosse uno dei due malfattori che fu crocifisso con Gesù. Infatti, mentre il suo compagno continuava a ingiuriare Gesù, egli si dissociò da lui e, riconoscendo la colpevolezza di entrambi e l'innocenza di Gesù, si rivolse a lui chiamandolo per nome, con queste parole: "Gesù, ricordati di me, quando entrerai nel tuo regno!"
Re. Dove andò quel malfattore a prendere quel titolo? Forse orecchiando gli scherni ed i lazzi della gente circostante, si accorse che colui che tutti chiamavano re per burla, era invece re davvero.
Re. Ma di che cosa?
Mah, forse neppure quel malfattore avrebbe saputo spiegarlo. O forse sì! Un uomo capace di morire così doveva essere certamente re di qualcosa: re di quella dimensione nuova di esistenza in cui l'incontro con Gesù l'aveva introdotto e in cui lo stesso Gesù era stato introdotto.
La fedeltà, infatti, dell'amore di Dio, suo Padre, ha costituito Gesù, il figlio del falegname, Signore e re della morte: Signore della morte a servizio della vita; dunque Signore della morte e della vita.
Signore della morte, perché vivendo la libertà del suo morire per amore, Gesù ha annientato il vero potere della morte, che è la paura.
Signore della vita, perché attraverso di lui l'Amore realizza il trionfo della vita.
Gesù esercita tale regalità in maniera stabile e duratura; così stabile e così duratura, da abbracciare con la sua regalità, i confini dello spazio e del tempo, a servizio della vita dell'uomo.
La storia del cosiddetto "buon" ladrone ci fa capire che Gesù invita tutti a condividere con lui questa signoria così che chiunque lo desidera, insieme con lui, possa regnare sulla vita e sulla morte; in nome dell'amore.
Ciò vuol dire che Dio, attraverso la mediazione di Gesù, condivide con noi, fragili creature, la sua stessa regalità sulla vita e sulla morte ogni volta che, attraverso l'esercizio dell'amore, ci spendiamo a servizio della vita "morendo" un po'.
Gesù per amore nostro ha donato tutta la sua vita e ha manifestato così quanto è falsa quella concezione, tanto diffusa tra noi uomini, che a regnare è la prepotenza di coloro che con la violenza, più o mena esplicita, si impongono.

sabato 13 novembre 2010

domenica 14 novembre XXXIII T.O. (anno C)


 Domenica 14 novembre XXXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

 Letture:

Ml 3,19-20   Sal 97   2Ts 3,7-12   Lc 21,5-19: Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita

Omelia di p. Raniero Cantalamessa

Il segreto del lavoro, mettere il cuore in quello che fanno le mani

Il Vangelo di questa Domenica fa parte dei famosi discorsi sulla fine del mondo, caratteristici delle ultime domeniche dell'anno liturgico. Pare che in una delle prime comunità cristiane, quella di Tessalonica, vi fossero dei credenti che traevano, da questi discorsi di Cristo, una conclusione sbagliata: inutile affannarsi, inutile lavorare e produrre, tanto tutto sta per passare; meglio vivere giorno per giorno, senza assumere impegni a lungo termine, magari ricorrendo a piccoli espedienti per vivere.

Ad essi risponde san Paolo nella seconda lettura: "Sentiamo che alcuni di voi vivono disordinatamente, senza far nulla e in continua agitazione. A questi tali ordiniamo, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, di mangiare il proprio pane lavorando in pace". All'inizio del brano, san Paolo ricorda la regola che egli ha dato ai cristiani di Tessalonica: "Chi non vuole lavorare, neppure mangi".

Questa era una novità per gli uomini di allora. La cultura alla quale essi appartenevano disprezzava il lavoro manuale, lo riteneva degradante per la persona e tale da essere lasciato agli schiavi e agli incolti. Ma la Bibbia ha una visione diversa. Fin dalla prima pagina essa presenta Dio che opera per sei giorni e si riposa nel settimo giorno. Tutto questo, prima ancora che nella Bibbia si parli del peccato. Il lavoro fa dunque parte della natura originaria dell'uomo, non della colpa e del castigo. Il lavoro manuale è altrettanto dignitoso di quello intellettuale e spirituale. Gesù stesso dedica una ventina d'anni al primo (supposto che abbia incominciato a lavorare verso i tredici anni) e solo un paio di anni al secondo.

Un laico ha scritto: "Che senso e che valore ha il nostro lavoro di laici davanti a Dio? È vero che noi laici ci dedichiamo anche a tante opere di bene (carità, apostolato, volontariato); però la maggior parte del tempo e delle energie della nostra vita dobbiamo dedicarle al lavoro. Quindi, se il lavoro non vale per il cielo, ci troveremo ad avere ben poco per l'eternità. Tutte le persone che abbiamo interpellato non hanno saputo darci risposte soddisfacenti. Ci dicono: 'Offrite tutto a Dio!'. Ma basta questo?"

Rispondo: No, il lavoro non vale solo per la "buona intenzione" che si mette nel farlo, o per l'offerta che se ne fa a Dio al mattino; vale anche per se stesso, come partecipazione all'opera creatrice e redentrice di Dio e come servizio ai fratelli. "Con il lavoro, si legge in un testo del Concilio, l'uomo abitualmente provvede alle condizioni di vita proprie e dei suoi familiari, comunica con gli altri e rende servizio agli uomini suoi fratelli, può praticare una vera carità e collaborare con la propria attività al completarsi della divina creazione. Ancor più: sappiamo per fede, che, offrendo a Dio il proprio lavoro, l'uomo si associa all'opera stessa redentiva di Cristo" (Gaudium et >Spes, 67).

Non importa tanto che lavoro uno fa', quanto come lo fa. Questo ristabilisce una certa parità, al di sotto di tutte le differenze (a volte ingiuste e scandalose) di categoria e di rimunerazione. Una persona che ha svolto mansioni umilissime nella vita, può "valere" molto di più di chi ha occupato posti di grande prestigio.

Il lavoro, si diceva, è partecipazione all'azione creatrice di Dio e all'azione redentrice di Cristo ed è fonte di crescita personale e sociale, ma esso, si sa, è anche è fatica, sudore, pena. Può nobilitare, ma può anche svuotare e logorare. Il segreto è mettere il cuore in quello che fanno le mani. Non è tanto la mole o il tipo di lavoro esercitato che stanca, quanto la mancanza di entusiasmo e di motivazione. Alle motivazioni terrene del lavoro, la fede ne aggiunge una eterna: le nostre opere, dice l'Apocalisse, ci seguiranno (Ap 14,13)

sabato 6 novembre 2010

domenica 7 novembre

Omelia di don Marco Pedron  

Ognuno avrà ciò che lui vorrà
Lc 20,27-38



La pagina del vangelo di oggi è un po' difficile per noi, strana, ostica, perché è lontana dalla nostra cultura e dal nostro linguaggio.
La controversia è con i Sadducei, che rappresentavano l'aristocrazia sacerdotale: erano razionalisti e non credevano alla resurrezione. Qui vengono per deriderlo, per metterlo alla prova, per prenderlo in giro ma sarà Gesù stesso a ridere della loro banale questione. Chi agisce come i Sadducei avrà lo stesso trattamento perché sempre la vita ti ritorna indietro quello che le dai.
Il caso è proprio buffo, artificioso, comico, strano e grottesco. In effetti, c'era una legge che diceva: "Se una vedova è senza figli maschi può essere sposata dal cognato per avere una discendenza" (Dt 25, 5). Ma qui la cosa è esasperata, ridicola. Riflette la mentalità del tempo dove l'unico modo di sopravvivere era la procreazione: io passo, muoio, ma qualcosa di me continua a vivere. In realtà non si continua a vivere nei figli, si continua a vivere perché si è figli di Dio.
E Gesù che fa? Gesù neppure risponde. Dice: "Voi venite qui per deridermi. Con voi non accetto neppure di discutere. Non parlo di queste cose con voi. Quello che dite dimostra quanto ristretti di mente siete".

Bisogna stare attenti perché alcune frasi possano (lo sono state!) essere mal interpretate. Ad esempio: "Quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della resurrezione dai morti, non prendono moglie né marito". Oppure: "Perché sono uguali agli angeli". Se non si è attenti qualcuno potrebbe sentirle come un disprezzo della sessualità o che nell'aldilà saremo asessuati. Saremo come angeli non perché asessuati ma perché non avremo più bisogno di morire. Ciò che qui si vuol dire è che in cielo ci sarà un altro modo di stare insieme non più vincolato dalle leggi del matrimonio e della nascita. Ci sarà un amore e un'unione con tutto e con tutti che oggi non possiamo capire.

Gesù superando la banale questione dei Sadducei dà due risposte.
La prima: non è possibile prendere gli stessi criteri che abbiamo di qua per parlare dell'aldilà. Tutto quello che diciamo sono ipotesi, sillabe, allusioni, parabole, immagini. I Sadducei prendono le immagini che hanno per parlare dell'aldilà. Ogni religione fa così: fuoco, latte e miele, pascoli, luce, verdi prati. E' come se un bambino nel grembo della madre dovesse descrivere il cielo, il mare, un fiore, le facce. Come potrebbe descrivere il volto del papà o della mamma? Impossibile, non può.
Noi non sappiamo come sarà l'aldilà. Abbiamo dei pre-sentimenti, delle intuizioni, dei segnali, delle tracce, delle orme. Sarà fioritura: guardo la natura, le stagioni, i fiori e le piante. Tutto muore in autunno, ma poi viene la primavera e tutto rinasce a vita nuova. La vita non muore mai. Sarà trasformazione, pienezza, realizzazione. Guardo al seme: una cosa così piccola quando la pianto e poi così enorme, sviluppata, feconda. E' lo stesso seme che si trasforma in albero. Sarà amore. Quando si ama si tocca l'eterno, l'infinito. Quando uno mi ama è come se mi dicesse: "Tu non morrai perché ci sono io". L'amore per sua natura vorrebbe essere eterno, senza fine. Sarà unità. Quando ci si ama ci si sente uniti, si sente che niente ci potrà dividere. Sarà così. La resurrezione sta a questa vita come l'albero al seme o il bambino al feto: la stessa cosa; tutta un'altra cosa.
Allora attenzione perché in realtà non possiamo dire niente, non possiamo immaginarcelo, descriverlo. Immagini come il tunnel del grande passaggio; il fuoco dell'inferno; gli angeli con le ali; Adamo, Eva, l'Eden e il giardino; i tormenti; il diavolo con le corna; i tre luoghi paradiso-purgatorio-inferno e quant'altro sono tutti frutti del nostro tentativo di dire qualcosa che non si può dire. Tutte le immagini dicono delle emozioni, delle condizioni, ma non dicono come sarà.
Al giorno d'oggi (ci sono sempre state!) ci sono molte persone che hanno percezioni del futuro: mettono in contatto le persone con chi è nell'aldilà (medium), sanno predire certi eventi; altre sono assai interessate a questioni sulla fine dei tempi, alla vita oltre la morte, al destino delle anime. Nei secoli passati c'era il problema dei bambini non battezzati: dove andranno? Non hanno colpe, ma non sono battezzati! Così si trovò la situazione intermedia del limbo. Credo che chi non riesce a vivere il presente debba fuggire nel futuro. Tu sei figlio di Dio. Non ti basta questo? Se puoi percepire chi sei (tu sei figlio dell'Altissimo), di cosa devi preoccuparti? Tu sei figlio della resurrezione: se sei certo di questo allora vivi il presente perché non temi più il futuro. Ma chi teme il futuro non può vivere il presente.

La seconda risposta: c'è un aldilà e Gesù lo fonda sul rapporto di amicizia che ha avuto con alcune persone.
Dice: "Dio non è un Dio dei morti, ma dei vivi" e poi ancora: "Il Dio di Abramo, d'Isacco, di Giacobbe". Queste sono persone che hanno amato il Signore: creature amiche di Dio, fedeli. Con queste persone Dio ha stabilito un legame di amicizia, di amore, di speranza. Dio poiché è il Dio dei vivi non spezza questi rapporti perché Dio è il Fedele.
Per cui la fede nella resurrezione è appoggiarsi a questa fedeltà, alla Sua fedeltà. Chi si appoggia a Lui è come un ramo su una pianta: anche se muore non si spezza, non si stacca. Fidati. Come un amico si poggia su di un altro amico, la sposa allo sposo, un bimbo sulla mamma, così io mi appoggio a Dio. Dio è colui che non abbandona.
Sperimento ogni giorno che Lui è il Fedele. Anche se sbaglio, anche se mi allontano un po' da Lui, anche se in certi giorni non accetto ciò che Lui mi propone, anche se a volte io gli sono infedele e lo tradisco (che poi è nient'altro che tradire me stesso), Lui rimane. Lui è una roccia (hesed=amore fedele): Lui è il granito; Lui è la mano che non si stacca, che non se ne va, che mi tiene forte e che non mi lascia.
Non so con esattezza cosa voglia dire resurrezione, ma so che Lui è Vita, è l'Amico, l'Amore, Colui che non lascia chi lo ama, Colui che non mi abbandona e questo mi basta. Io mi affido a Lui e so che non mi lascerà cadere nel buio. Se la mia vita è appoggiata su di Lui durerà per sempre, perché Dio è per sempre. Mi fido e non temo.
Un mistico islamico, Al-Ghazzali, (i musulmani hanno Abramo come padre della fede) dice: "Abramo, quando l'angelo della morte venne per impadronirsi del suo spirito, disse: «Hai mai visto un amico desiderare la morte di un amico?». (Ora, Dio amico di Abramo può desiderare la morte di Abramo?). E il Signore gli rispose: «Hai mai visto l'amante rifiutare l'incontro con l'amato?». E Abramo disse: «Angelo della morte, prendimi»".
Se Dio in questa vita l'abbiamo conosciuto, l'abbiamo incontrato, l'abbiamo fatto diventare centro della nostra vita, se è diventato il nostro amore non c'è alcun motivo di temere perché l'incontro tra me e Lui è l'incontro tra l'amato e l'amante.
Ma se Dio è rimasto estraneo, sconosciuto, alieno alla nostra vita allora sì che avremo tanta, ma tanta paura: "Una paura da morire!".

Molti di noi hanno la pretesa e il desiderio di sapere cosa c'è di là. Io vorrei avere dei segni, delle certezze; vorrei vedere l'al di là; vorrei sapere cosa faremo, chi ci sarà, se qualcuno non ci sarà, vorrei sapere di cosa vivremo e come vivremo; vorrei sapere se rivedrò i miei cari, se tutto sarà luce; vorrei sapere come sarà il nostro corpo. E' il mio bisogno di controllare, di avere tutto sotto controllo, di detenere io la situazione. E invece Lui mi chiede di abbandonare il controllo e semplicemente di fidarmi: "Io ti amo. Guarda bene nella tua vita e vedrai quanto ti amo. Ma come potrei, visto che ti amo così tanto, abbandonarti? Se mi conosci, di cosa vuoi avere paura? Se sai chi sono non temerai nulla". Conoscere le cose ci rassicura: il noto non lo temiamo, è l'ignoto che ci fa paura. Sapere il posto dove si andrà ci dà modo di avere tutto sotto controllo. E avere tutto sotto controllo vuol dire non aver paura. Ma sono io che controllo. E' come dire: "Mi fido di me. Lo conosco quel posto, so che ci posso andare, so cosa mi aspetta".
Ma controllare non è fidarsi. L'amore è qualcosa di più. L'amore è fidarsi e andare. Non perché si conosce dove si andrà ma perché si conosce chi ci ama.
Un giorno ci hanno fatto fare questo esercizio: eravamo in montagna, in un luogo anche abbastanza dissestato, con rami, sassi e quant'altro. Ci hanno bendato e un compagno ci conduceva. Tu non dovevi fare niente, dovevi solo fidarti e lasciarti portare. All'inizio è stato molto difficile. Ma quando uno si fidava tutto era meraviglioso: non c'era più niente da aver paura perché un angelo era con te e ti conduceva, ti proteggeva, ti sosteneva, ti diceva dove andare e dove non andare. Potersi fidare di qualcuno e abbandonarsi è meraviglioso. Ci si sente al sicuro, protetti, non c'è più niente di cui aver paura. In certi giorni mi sento così: non vedo l'angelo che mi conduce, ma sento che Lui mi porta. E non è più importante dove si va perché ciò che conta è solo che Lui ci sia.
Tanti anni fa alcuni amici mi hanno bendato e mi hanno detto di fidarmi e di lasciarmi portare. Non era il mio compleanno, non c'era qualche occasione speciale, non c'era un motivo preciso. Non è che mi fidassi molto, anzi, siccome non sapevo e non capivo il senso della cosa, avevo assai paura, facevo un sacco di domande, tenevo le mani avanti ed ero attento ad ogni rumore. Non avevo la più pallida idea di dove saremmo andati. Quando mi tolsero la benda c'era una grande candela e tutti i miei amici attorno. Volevano solo fare una grande festa per me. È stato commovente. Quando andremo di là sarà così: avremo tanta paura, ma sarà una grande festa. Quando andremo di là sarà molto di più e molto diverso da come anche lontanamente ci aspettiamo o possiamo anche solo lontanamente pensare. E' inutile pensarci; è inutile farsi idee; è inutile voler sapere. Sarà una grande festa, enorme, con tutti gli amici, con tutto ciò che c'è di caro.
Tutto sarà compiuto, tutto sarà in pienezza. Pensate alla relazione tra un seme e l'albero corrispondente: sono la stessa cosa eppure sono totalmente diversi. Sarà così: questa vita è un seme ma nel seme è già racchiuso l'albero e l'eternità. Nessuno da questa prospettiva può dire come sarà, ma sarà pienezza, fecondità, frutti, sviluppo.
Lao-Tse dice: "Quello che il bruco chiama fine del mondo il resto del mondo chiama farfalla". Allora: la morte è fine da questa sponda ma inizio dall'altra sponda. Quando cambi di casa è un inizio o una fine? Tutte e due, dipende! E' sia fine che inizio. E poi ciò che ci fa paura è in realtà meraviglioso. Il bambino è traumatizzato dalla nascita e invece non sa che quel passaggio così difficile è la sua salvezza e l'inizio di una stupenda avventura tra le braccia accoglienti, calde, protettive e amorevoli della madre. Sarà così. Un trauma e un sacco di paura, ma nello stesso tempo la meraviglia più grande che ci potrà capitare.

Molte persone credono che l'inferno o il paradiso sia un po' come un terno al lotto: non possiamo fare nulla e speriamo che ci vada bene! Ma l'inferno e il paradiso ce lo costruiamo noi. L'inferno o il paradiso ce lo scegliamo noi; è nelle nostre mani. E quando andremo di là Dio non farà nient'altro che confermare le nostre scelte o quello che noi vogliamo.
Ci dirà: "Cosa vuoi? Scegli e io per amore ti darò ciò che tu vuoi!".
"Ma tutti vogliono il paradiso!". "Lo dici tu!". Facciamo degli esempi.
Un uomo è attaccato morbosamente al denaro. Ha un sacco di soldi ma quando esce è attento anche al centesimo, e guai se qualcuno in compagnia paga meno di lui. E' così taccagno e avaro che vive nella paura che gli altri se ne approfittino di lui. Tutto ruota attorno a non spendere. Lo sa di essere così, ma continua ad esserlo. Si è creato il suo inferno e si è chiuso dentro.
Un altro ha un legame morboso con la propria moglie. Quando lei non c'è arriva a soffrire, a diventare geloso di tutti e di tutto, perfino degli amici e dei parenti. Se fosse per lui lei non potrebbe neppure uscire di casa: sa di essere così ma non fa niente per uscirne, si è creato il suo inferno e ci rimarrà dentro.
Un'altra donna non riesce a concedere al marito un momento di pausa nel rapporto. Lei è sempre stata soffocante, asfissiante, col fiato sempre sul collo. Lei gli era sempre dietro, sempre presente: una sanguisuga. Allora lui si è preso una pausa di riflessione perché così non si poteva andare avanti: era come essere in carcere. Ma lei lo chiama ad ogni ora; vive nella disperazione di rimanere da sola (ecco perché gli stava sempre addosso!); è disponibile a tutto pur di tornare insieme. Sa di aver bisogno di lui in maniera ossessiva perché non riesce a stare da sola. Più che lui, ama il rapporto (quante persone non amano te ma il rapporto: stanno con te perché temono di stare da sole!). Si è creata una situazione infernale ma non fa niente per uscirne. Non è lui il problema; è lei che ha un bisogno disperato di amore e di stare con lui. Un detto dice: "Se ami qualcuno, lascialo andare: se torna, è tuo, se non torna, non è mai stato tuo".
Un'altra donna vive un rapporto di coppia che potremmo definire un rapporto di servitù. Lei fa tutto, lo serve in tutto; è come una madre con il suo bambino (è che questo bambino ha quarant'anni anni ed è suo marito!!!). Il marito sa che così non si può andare avanti; sa che dovrebbe iniziare a piantarla dura. Ma ha paura di cosa la situazione provocherà, di cosa si scatenerà. Così ha deciso di lasciar tutto così. Si è creata il suo inferno. Ha scelto questo.
Un uomo ha capito perché lui corre sempre, perché non riesce mai a non far niente, perché è iperattivo: dentro ha un vuoto d'amore enorme. Sa che il giorno che si fermerà o il giorno che vorrà conoscersi dovrà fare i conti con questa sua storia familiare, così senza amore. Allora corre, parla, sempre e non sta mai "con le mani nelle mani". Questo lo fa passare agli occhi degli altri per un grande lavoratore, ma lui sa la verità. Ma ha deciso di non fermarsi. Si è scelto l'inferno perché vivere così è vivere sempre nell'ansia e nel timore. Sa che c'è una mina dentro di sé pronta ad esplodere ma decide di non considerarla.
C'è una coppia che vive nella stessa casa e nello stesso letto ma insieme non c'è altro. Si ignorano, si odiano, neppure si guardano. Siccome sono giovani il rapporto si potrebbe recuperare, ma dovrebbero permettere a qualcuno di aiutarli. Ma non vogliono perché "i panni sporchi si lavano in casa". E allora state male e non lamentatevi! Hanno scelto l'inferno di vivere così.
Una donna ha detto: "Mio marito fa della mia vita un inferno". "Vorrà dire che dovrai andartene da quella casa!". " Ma poi rimango da sola!". "Vorrà dire che dovrai imparare a vivere anche rimanendo sola".
Nessuno ha mai detto che sia facile scegliere il paradiso. Scegliere il bene vuol dire crescere, prendere in mano la propria vita e smettere di delegare agli altri (Dio compreso).
Sembra impossibile eppure molti di noi preferiscono in questa vita l'inferno. Per me allora è molto importante quella frase: "Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi". Scegli la vita! Scegli il paradiso! Scegli l'amore!
Dio non vuole che tu ti sacrifichi e che distrugga la tua vita. Dio non vuole che nessun uomo si annienti o si annulli, che nessun uomo perda se stesso per qualcun altro. Mai. Dio non è il Dio della morte.
Dio è il Dio della vita e vuole per tutti che si viva e che si viva in pienezza, che si viva sviluppandosi, crescendo e che si raggiunga la massima vitalità possibile. Dio è il Dio dei vivi. Quando le persone dicono: "Ma Dio non vuole che ci annulliamo per gli altri?". "Sì, il Dio dei morti vuole proprio così". Ma non il Dio di Gesù.
C'è una storia che racconta questo. Un giorno, un grande e valoroso guerriero andò a trovare un saggio perché voleva sapere quale strada doveva intraprendere per raggiungere il paradiso e quale rifuggire perché conduceva all'inferno. Il saggio lo guardò e gli chiese chi fosse. L'altro, molto orgoglioso di sé, gli rispose di essere il più grande e valoroso guerriero del suo paese. Il saggio si mise a ridere, provocando una grossa irritazione nel guerriero che si sentì denigrato, al punto da estrarre la spada pronto a colpire il saggio. Questi lo guardò e gli disse: "Questa è la strada che ti conduce all'inferno. Con il tuo orgoglio e la tua ira tu stai per imboccarla". Il guerriero si fermò, riflettè e ripose la spada nel fodero. Il saggio gli sorrise e gli disse: "Ora tu hai imboccato la strada del paradiso".

L'inferno e il paradiso in questa vita è nelle nostre mani e soprattutto nelle nostre scelte. Scegli la felicità, scegli il paradiso, scegli la vita, scegli il tuo bene, scegli Dio. Dio non ha creato l'inferno e il paradiso. Dio ha creato l'uomo libero di scegliere il paradiso e l'inferno. E Dio, che ama l'uomo, darà a ciascuno ciò che ognuno sceglierà.

Pensiero della settimana
Inferno è essere pieni d'amore e non riuscire ad amare. Inferno è essere in balia dei propri demoni interiori.